Aprii gli occhi, senza rendermi conto del fatto che erano passati pochi secondi, ritrovandomi così davanti alla faccia preoccupata di mia madre ed allo sghignazzo di Gigi e Mario. I miei amici sapevano quanta erba avessi fumato prima di salire in casa e avevano visto pure le coppette di spumante che avevo tracannato nell’attesa.
Immediatamente dietro, quasi pudicamente, era la faccia di zia Elena che, accoccolata, aveva messo i suoi occhi nei miei. Mio padre, in piedi da dietro, aveva capito diverse cose, anche che bel derrière avesse conservato la sua sorellina; guardava e sembrava rendersi conto del temporale in arrivo.
Cominciò la mia festa di compleanno: una sorta di delirio febbrile, tra volti deformati, parole storpiate, canzoni stonate, ghigni soffocati e urli striduli. Su tutti, quegli occhi che cercavo e che, quando trovavo, sfuggivo. Quei pezzi di carboni ardenti. Quel ghiaccio fossile, nero, che bruciava da tanto era freddo, che volteggiava come una farfalla dal volo imprevedibile nei suoi continui spostamenti e che bucava da parte a parte quando si posava.
Avevo un piatto con un pezzo di torta e la forchettina in una mano, un calice nell’altra (mia madre era stata convinta a versarmene due dita, malgrado lo svenimento).
Mi persi nel nero della maglia a collo alto di zia Elena, comparsa, non so come, accanto a me. Lei mi posò una mano, la sinistra, su un fianco, la destra sulla spalla, reclinando il viso alla sua destra, appoggiando le su labbra sulle mie, precedute dal seno che inevitabilmente premette, urlando, ed io lo sentii distintamente.
Poiché avevo le mani impegnate, per lei fu come entrare nella guardia abbassata di un pugile suonato. “Buon compleanno, Toni!”, disse una voce che veniva dal passato. La fragranza dei fiori delle Mille e una Notte uscì da quella bocca e arrivò al mio naso; le sue dita fini e affusolate fasciarono la mia spalla destra e il mio fianco sinistro, il mio ginocchio aveva sfiorato la sua coscia, il mio cuore era appoggiato, come a nutrirsi, alla sua mammella e fu lui a farmi dire, non so né come né perché: “Eccomi, zia Elena”.
Avevo una spaventosa erezione in corso. Lei se ne accorse, poiché l’altra sua gamba mi sfiorò, con la sua coscia, proprio lì. I suoi occhi mi attraversarono e la vidi persa in altri ricordi e pensieri. Mi prese il piatto e la coppetta, fece mezzo passo indietro e si voltò, piegandosi un poco, per appoggiarli sul vicino mobile.
Così facendo, la natica sfiorò nuovamente, ed è difficile pensare involontariamente, i pantaloni rigonfi. Tornando a rivolgersi a me, sfiorò i miei capelli con la sua mano sinistra: “Va tutto bene, Toni”, sussurrò. E sparì, allontanandosi con i miei genitori in cucina. Io restavo nella sala con i miei amici.